[Attenzione, questo post contiene spoiler!] In questo post oggi vorrei parlare di una serie televisiva che ho trovato veramente splendida, ovvero In the Flesh. In questa serie, rinnovata per due stagioni ma ohimè purtroppo ormai cancellata, si parla degli eventi che hanno seguito la “Rising”, ossia un inaspettato risveglio delle persone che erano morte nel 2009 sotto forma di zombie nella cittadina immaginaria di Roarton, nel Lancashire.
Nei quattro anni seguenti la Rising, in cui si sono susseguiti esperimenti di tutti i tipi, si è riusciti ad ideare uno speciale farmaco con cui gli zombie possono tornare alla normalità e riacquistare tutte le loro funzioni cerebrali, cosa che fa da premessa alle vicende del protagonista, Kieren, un ragazzo adolescente sofferente di PDS (ossia Partially Deceased Syndrome, il nome con cui viene indicata la condizione dei defunti risvegliatisi nella Rising).
Sin dall’inizio si è avviluppati dal clima intollerante e diffidente di Roarton, a partire dalla famiglia di Kieren, dalla quale è stato portato per essere reintegrato nella società. Kieren si trova a distanza di tempo in un nucleo familiare che si divide tra l’imbarazzo dei genitori, che pur provando la felicità di riavere il proprio figlio non sanno ancora bene come rapportarsi al fatto che soffra di PDS, e la reazione forte e sofferta della sorella di Kieren, Jen, che fa parte della HVF, la Human Volunteer Force, un’organizzazione di vigilantes dediti al proteggere la città dagli zombie non curati, dunque in stato famelico e rabbioso, le cui missioni però si trasformano spesso in delle vere e proprie spedizioni punitive.
Nel corso della serie si scopriranno le motivazioni che hanno portato alla morte di Kieren, avvenuta per suicidio a causa della perdita del ragazzo di cui era innamorato (Rick, morto in Afghanistan), e verranno introdotti altri personaggi che da una parte nella loro “anormalità” sottolineeranno la normalità della loro vita e delle loro aspirazioni, e dall’altra si presenteranno le reazioni di intolleranza dei principali rappresentanti delle istituzioni di Roarton verso i rotter, come vengono definiti i portatori di PDS, sottolineandone l’assurdità.
Uno dei personaggi che ho preferito nella serie è Amy Dyer, che diventerà la migliore amica di Kieren e a sua volta portatrice di PDS. A differenza di Kieren, che inizialmente vive molto male la sua condizione, Amy la vive in serenità, ci scherza sopra e la vede come una seconda possibilità, dato che la sua morte è stata causata dalla leucemia e ha interrotto una vita che aveva tantissima voglia di assaporare fino all’ultimo. I colori che pervadono la serie sono freddi e cupi, ma non è un caso che Amy sia una dei pochissimi personaggi ad indossare abiti dai colori sgargianti: il suo maglione arancione è infatti il suo marchio di fabbrica, ciò che la contraddistingue (Amy mi è piaciuta così tanto che le ho anche dedicato una fan art).
Progressivamente si assiste all’accettazione di Kieren da parte di sé stesso e dei suoi familiari, in contrasto con l’intolleranza e la paura dei cittadini di Roarton che avranno culmine nel partito politico “Victus“, che si prefigge come principale obiettivo l’eliminazione dei rotter anziché integrarli nella società. Il punto di forza più grande di In the Flesh è questo: il trasformare una storia di zombie, potenzialmente piena di stereotipi già visti e rivisti, in una grande metafora delle dinamiche socio-culturali che si sono scatenate nei secoli nei confronti della diversità.
Ovviamente il primo collegamento con la condizione dei portatori di PDS va automaticamente all‘omosessualità e al percorso di consapevolezza e di accettazione che ne consegue: la famiglia di Kieren, nonostante gli attriti iniziali, arriverà a sostenerlo e ad aiutarlo in tutti i modi possibili, mentre ad esempio la famiglia di Rick, ultraconservatrice e piena di odio nei confronti dei rotter, farà di tutto per nascondere a sé stessa la condizione del figlio, che si scoprirà essere a sua volta un rotter e tornato inaspettatamente dall’Afghanistan. La non accettazione di Rick del fatto di soffrire di PDS coincide con il mascherare la sua omosessualità: finge di essere ciò che non è per essere accettato dal padre, il quale lo aveva mandato in Afghanistan per separarlo da Kieren, e si comporta come se fosse ancora in vita, bevendo e mangiando nonostante il suo corpo rifiuti il cibo, stando male e non togliendosi mai il trucco con cui nasconde il suo aspetto da rotter. La vicenda di Rick è permeata da sofferenza ed intolleranza, al punto che, quando Rick troverà il coraggio di fare ufficialmente coming out come rotter, verrà ucciso dal padre stesso, incapace di accettare il figlio.
Oltre questa interpretazione, In the Flesh si presta benissimo a simboleggiare ogni tipo di resistenza rivoluzionaria: la Undead Liberation Army (U.L.A.) capeggiata da Simon è infatti un movimento di rivolta dei rotter che in questo modo trovano un senso di appartenenza, di comunità e di accettazione per quello che sono, scatenando però anche degli attacchi terroristici che mostrano come la divisione tra “buoni” e “cattivi” sia un concetto labile in un mondo in cui a pagare sono sempre gli innocenti. In questo senso la U.L.A. può essere anche paragonata ai movimenti di resistenza partigiani e, nella sua accezione iniziale non violenta, a movimenti come le Black Panther. Anche il parallelismo tra le sostanze prese dagli esponenti più estremisti della U.L.A. e i recenti attacchi dello stato islamico è forte: la Blue Oblivion infatti, una droga capace di riportare le persone curate dalla PDS farmacologicamente allo stato ferino, è facilmente riconducibile alle sostanze assunte da molti ragazzi per darsi forza durante le missioni suicide.
Altro parallelismo che è sorto spontaneo è quello tra la condizione dei portatori di PDS e i portatori del virus HIV negli anni ’80: la diffidenza ed il pregiudizio, specialmente da parte di istituzioni come la chiesa e la fascia politica conservatrice, ricordano molto la discriminazione e la considerazione negativa e spesso errata che si generò nei confronti della prima ondata di persone diagnosticate con questo virus; anche la cronicità della condizione, che può essere “tenuta a bada” ma non debellata, fa pensare a questa correlazione.
Inoltre l’intolleranza e la paura degli oppositori dei rotter spesso è causata dal terrore di non essere a propria volta accettati, come esemplificano personaggi come Ken Burton, un uomo che in apparenza condivide l’odio per le persone che soffrono di PDS ma che in realtà usa questo astio come facciata per coprire il fatto che sua moglie soffre a sua volta della sindrome, o Philip Wilson, giovane promessa politica conservatrice che arriverà ad ammettere di aver frequentato dei bordelli in cui lavoravano delle ragazze affette da PDS nel tentativo di ritrovare la figura di Amy, di cui è innamorato.
Sarebbe dunque veramente riduttivo definire In the Flesh “una serie di zombie”, e forse questo è stato uno dei principali motivi del suo mancato rinnovo. Tuttavia continuo a sperare in un ritorno (se X-Files è tornato dopo più di dieci anni, mi lascio aperta questa possibilità), dato che questa serie è riuscita ad affrontare, in modo obiettivo e delicato, delle dinamiche terribilmente attuali e che stanno tutt’ora cambiando le sorti del mondo.
Qualcuno di voi ha visto In the Flesh, e se sì, cosa ve ne è parso? Se vi va, scrivetelo nei commenti!