Lui è tornato, ma la razza non è mai arrivata

lui-e-tornato-620x372Scrivo questo post ispirata dal docu-film tratto dall’omonimo romanzo di Timur Vermes, “Lui è tornato”, che potete trovare su Netflix e che sarà al cinema fino a stasera, in cui si parla di un misterioso e “magico” ritorno di Adolf Hitler che si risveglia nella Berlino del 2014 e che tra fraintendimenti, risate ed interviste alquanto discutibili, trova nei giorni d’oggi un terreno estremamente fertile per lastricare la strada di un potenziale quarto Reich (seriamente guardatelo, è proprio un bel film).

300x220_lui-è-tornato-film-2016Ciò che mi ha maggiormente colpito della pellicola non sono state le risposte agghiaccianti della maggior parte delle persone intervistate dal redivivo Hitler, molte delle quali auspicavano un ritorno con tanto di upgrade dei lager (d’altronde, l’Italia pulula ancora di nostalgici del duce, che tra colpi di stato e massacri faceva arrivare i treni in orario e bonificava le paludi), ma come, oggi come oggi, l’intolleranza verso chi è considerato straniero sia ancora così spesso giustificata da una “supremazia razziale” con fantomatiche basi scientifiche e biologiche, nonostante il razzismo scientifico sia ormai da decenni ufficialmente catalogato nelle “pseudoscienze”, dunque valido tanto quanto la frenologia o il Cristallo di Luna di Sailor Moon.

In questo post vorrei dare i miei due cent riguardo la nullità della tesi di questa presunta superiorità biologica, sottolineando che il calderone della discriminazione razziale ne ha per tutti e non si limita ai criteri imposti dal baffetto tedesco.

italianiellisislandSi pensi ad esempio all’apartheid, politica creata nel dopoguerra da parte del governo di etnia bianca sudafricano che aveva come scopo l’introduzione e l’adozione totale della separazione tra bianchi e neri, o il “terrore giallo”, che aveva come capro espiatorio nel XIX secolo prima i cinesi e successivamente anche i giapponesi, visti come potenziali sovvertitori di ogni aspetto della vita occidentale. E, ovviamente, si pensi anche agli italiani, che agli inizi del ‘900 quando immigravano in America sbarcando ad Ellis Island venivano letteralmente “marchiati” e selezionati, e che erano considerati come stupidi, con la delinquenza nel sangue ed importatori di malattie e di mafia.

Ma torniamo a noi: che cos’è la “razza”? Usando la definizione dell’encliclopedia Treccani:

razzaRaggruppamento di individui che presentano un insieme di caratteri fisici ereditari comuni. Nel caso dell’uomo, tali caratteri si riferiscono a caratteristiche somatiche (colore della pelle, tipo di capelli, forma del viso, del naso, degli occhi ecc.), indipendentemente da nazionalità, lingua, costumi, ma il concetto di r. umana è considerato destituito di validità scientifica, dacché l’antropologia fisica e l’evoluzionismo hanno dimostrato che non esistono gruppi razziali fissi o discontinui.

Spesso si tende a confondere infatti il concetto di “razza”, che ha senso solo se usato in relazione a determinate specie animali e che indica diversi sottogruppi distinguibili all’interno della stessa specie, con il concetto decisamente più ampio e vasto di “popolazione”, intesa come gruppo di individui che occupano una determinata area. Nota: il concetto di razza umana è stato abolito nel 1950 dall’UNESCO che, nella sua dichiarazione, ne ha sottolineato l’assenza di validità scientifica.

lewontinUno dei primi a chiedersi se aveva senso parlare di razza dal punto di vista scientifico è stato il genetista e biologo Richard Lewontin, che agli inizi degli anni ’70 effettuò una serie di studi sulla variazione delle proteine di 17 geni all’interno delle sette classificazioni antropologiche riguardanti l’Homo Sapiens, ossia i caucasici (gli abitanti affacciati sul Mediterraneo, comprendendo anche i cittadini del nord Europa), gli africani sub-sahariani (tutta l’Africa ad esclusione degli abitanti del nord Africa), i mongolidi, le popolazioni del Sud-est asiatico, gli aborigeni australiani, le popolazioni dell’Oceania (oceanici) e i nativi delle Americhe (amerindi).

Lewontin ha analizzato le variazioni di queste proteine, verificando la comunanza di elementi genici all’interno di ciascuno di questi gruppi: il risultato ha dimostrato che le differenze tra un gruppo e l’altro erano solo del 7% mentre all’interno dei singoli gruppi c’era una grande variabilità genica di circa l’ 85%.

E questo cosa vuol dire? Vuol dire che tutti noi abbiamo antenati comuni e che il 7% delle differenze del genoma si è sviluppato successivamente, creando caratteristiche diverse negli uomini in base all’ambiente in cui si sono trovati a stare tramite le migrazioni (si pensi alla melanina aumentata per le persone di colore, originarie di zone dove il sole batte fortissimo, o alla plica mongolica che distingue gli occhi delle persone asiatiche, sviluppatasi per resistere ai venti freddissimi).

darwinIn questo modo gli studi di Lewontin dimostrano che l‘idea di diversità razziale su base genetica non ha senso, ma creano un interessante cliffhanger con le teorie darwiniane, secondo le quali ogni popolazione mostra al proprio interno una notevole variabilità dei caratteri, con caratteristiche che si rivelano più favorevoli di altre permettendo all’individuo che le possiede di adattarsi all’ambiente in cui si trova.

La “selezione naturale”, punto cardine dei meccanismi evolutivi secondo Darwin, consiste nel successo riproduttivo differenziato del diverso adattamento all’ambiente naturale, ed in questo modo le caratteristiche favorevoli che hanno permesso agli individui di una popolazione un miglior adattamento all’ambiente sono caratteri ereditabili e vengono trasmessi alla prole, ed ecco spiegato perché ci sono persone alte, con gli occhi scuri, i capelli biondi o con la pelle scura o gli occhi a mandorla.

E adesso introduco un concetto a mio avviso fondamentale per la nostra evoluzione in meglio: il pool genetico, ossia “l’insieme di tutti gli alleli dell’intero set di geni che appartengono a tutti gli individui che compongono una popolazione in un determinato momento”. La mescolanza di nuovi alleli e la creazione di mutazioni (come ad esempio i capelli rossi) e la loro relativa diffusione ne favoriscono la ricombinazione, formando nuove associazioni tra gli alleli esistenti, dinamica spesso più proficua in termini evolutivi di quanto non sia la comparsa di nuovi alleli.

Concludo il post argomentandovi in modo ulteriormente ehm…”scientifico”, l‘importanza del pool genetico con qualche esempio 😀

Halle Berry: madre di origini inglesi e tedesche, e padre afroamericano.

halle berry

David Boreanaz: padre statunitense di origine italiana, e madre statunitense di origini miste cecoslovacche, irlandesi, francesi, tedesche e svedesi.

david-boreanaz

Beyoncé Knowles: padre afro-americano, e madre di discendenza creola.

beyonce

Gary Dourdan, con origini francesi, irlandesi, scozzesi, africane ed indiane.

garydourdan

Brandon Lee: padre di origini cinesi ed eurasiatiche, madre di origini svedesi ed inglesi.

brandon lee

Devo andare avanti, o bastano come argomentazioni per l’utilità del pool genetico :P?

Ordunque ragazzi miei, per quanto io rispetti tutte le idee fino a quando non vanno a ledere la libertà o la dignità di terzi, quando c’è da argomentare qualcosa usiamo in modo intelligente l’internet e quegli strumenti un po’ alieni che si chiamano libri. Sia mai che ci venga voglia di saperne di più e di aprire un po’ le nostre menti, così magari quando arriverà un redivivo Mussolini ad intervistarci in un documentario, non sosterremo le nostre idee con luoghi comuni e frasi fatte.

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