Continuano le cronache giapponesi a partire dal quartiere dove è situato quello che è stato il nostro albergo (non abbiamo alloggiato in un ryokan poiché abbiamo preferito una struttura dove ci siamo accertati che il personale parlasse bene inglese), Shinjuku, che abbiamo raggiunto con un’oretta di treno circa partendo da Narita e constatando già le prime difficoltà linguistiche con il popolo nipponico (scriverò dei brevi articoli su alcuni aspetti e cose che mi hanno colpito del Giappone, uno dei quali sarà esplicitamente dedicato al rapporto che hanno i giapponesi con la lingua di Mr. Brown).
Devo fare questa premessa: Tokyo non è il Giappone. Ovviamente non posso dire di aver conosciuto l’intero impero del Sol Levante con due settimane di vacanza, ma è la conclusione a cui siamo giunti dopo aver visto anche altre città (Kyoto, Osaka, Karakuma, Nara), nessuna delle quali ha mai raggiunto i livelli di eccessi e stravaganza toccati dalla capitale.
Il primo impatto con questa città è stato: “Oddio, ma è tutto come negli anime e nei manga, siamo in un cartone animato!” Inizialmente tutto è parso infatti in un certo senso esagerato: l’altezza degli edifici, le insegne colorate, le musichette provenienti dai negozi, i grattacieli, le sale giochi. Paradossalmente le persone sono continuamente sottoposte a stimoli di ogni tipo, e nonostante questo la popolazione autoctona sembra non accorgersi di niente, presa com’è dai suoi doveri o dai propri impegni. Noi invece ad ogni metro ci facevamo venire un attacco epilettico guardando luci, insegne e pubblicità, rimanendo inoltre basiti per la pulizia estrema delle strade e della città, cosa che scopriremo essere ancora più sbalorditiva quando ci renderemo conto che in Giappone non esistono praticamente i cestini della spazzatura, ma questa è un’altra storia.
Dopo aver messo a posto i bagagli, usciamo cercando di procacciarci del cibo, missione che nel corso di tutta la vacanza si rivelerà molto facile ed economica (da turista, sento di dover sfatare il luogo comune secondo cui il Giappone è caro, basta fare attenzione per spendere molto di meno rispetto a città come ad esempio Londra non privandosi di niente). Compriamo degli onigiri senza conoscerne il ripieno (sarà tutto una grande sorpresa, perché ovunque le cose sono scritte in caratteri giapponesi), qualcosa da bere e ci avviamo alla scoperta della città, pienissima di negozi di lusso, centri commerciali e di persone giovani.
Iniziamo a venire a contatto da vicino con alcune mode giapponesi, tra cui la già notata mascherina medico-chirurgica, usata per svariati motivi tra cui proteggersi dall’inquinamento, senso di ribellione e desiderio di anonimato, e l’uso di bende e medicazioni fittizie. Il perché non chiedetemelo, ma a quanto pare una benda sull’occhio ed una fasciatura sul braccio per una ragazza giapponese hanno la stessa valenza di un lucidalabbra e una messa in piega (e mi spiego perché Rei Ayanami rappresenti per i giapponesi un sogno erotico).
La libertà di espressione giovanile attuata con l’abbigliamento è sconfinata: si va dalle lenti a contatto colorate e gigantesche, dalle code di scimmia usate come accessorio attaccate alla gonna, ai capelli dai colori e dalle acconciature più stravaganti; la popolazione adulta invece ha uno stile molto tranquillo, senza contare le persone che indossano oltre al classico kimono indumenti tradizionali come gli haori, gli yukata e le classiche (ed apparentemente scomodissime) calzature geta, anche se abbiamo visto questo tipo di abbigliamento diffuso maggiormente a Kyoto.
In quartieri come Shinjuku, Akihabara e Shibuya abbiamo anche potuto constatare l’adorazione generale verso gli idol, gruppi musicali composti da ragazzi o ragazze particolarmente apprezzati per il look e le prestazioni e pubblicizzati con cartelloni, furgoncini a tema decorati con le loro fotografie e che trasmettevano le loro canzoni, pubblicità promozionali mandate ciclicamente in onda sui maxi-schermi di cui i palazzi di Tokyo sono pieni. Un gruppo tra i più amati è quello delle AKB48, band di circa 90 ragazze divisa in gruppi che si esibiscono dal vivo in più luoghi diversi; l’età delle componenti va da circa i 13-14 anni fino massimo ai 25 anni di età, con un ricambio “generazionale” dei membri non appena si supera il quarto di secolo. Tutto questo spiega la relativa scarsezza della presenza pubblicitaria e gadgetistica delle pop star occidentali, dato che il J-Pop impera ed è parte fondamentale della cultura nipponica.
Tra una cosa e l’altra siamo arrivati a Kabuchiko, il “red light district” di Tokyo la cui sicurezza è incomparabile a quella del suo corrispettivo olandese: questo perché Kabuchiko, come tutto il resto del Giappone, pur essendo una delle zone preferite dalla Yakuza (la mafia giapponese) è una zona comunque tutto sommato sicura, soprattutto se si è occidentali poiché gli unici elementi che cercano di abbordare gli uomini per offrire loro la compagnia di belle ragazze o che avvicinano le fanciulle facendo i marpioni si rivolgono solo a persone giapponesi (una delle tante sottili sfumature della diffidenza verso i gaijin, termine un po’ razzista per indicare gli stranieri).
A Kabuchiko si trova di tutto: peep show, centri “massaggi” o “soapland” che fanno da copertura ad attività di prostituzione, night club e love hotel. Quest’ultimi sono particolarmente interessanti, poiché sono delle strutture che consentono in maniera totalmente anonima di avere rapporti sessuali in tranquillità, ma a differenza dei classici e un po’ squallidi motel ad ore sono rivolti soprattutto ai fidanzati che, per questioni di spazio e di privacy, non possono consumare la propria intimità a casa. Questo perché per motivazioni economiche anche in Giappone le persone si sposano tardi, ma non vige la libertà che ad esempio si potrebbe avere in Italia nel portare il proprio partner a casa. La sessualità in Giappone è un argomento controverso di cui voglio parlare in seguito, dico solo che comunque mi è sembrata fatta di grandi paradossi e per alcuni tratti intrisa di un pudore molto forte, tenuto presente il fatto che anche baciarsi in pubblico è considerato disdicevole, poiché il bacio è visto come un atto molto, troppo intimo: Tokyo tra l’altro mi è sembrata particolarmente “turbata” a riguardo, a differenza di altre città come Kyoto che invece mi sono parse molto più “rilassate” (ci tengo però a mettere le mani avanti e a sottolineare che questa è stata una mia impressione, che può tranquillamente non corrispondere alla realtà dei fatti). Kabuchiko comunque a parte le sporcellate ci ha dato tante soddisfazioni, tra cui Godzilla che spuntava tra i palazzi e quintalate di sale giochi (un leitmotiv in tutta Tokyo).
Nella prossima parte si parlerà invece di Shibuya, il quartiere fashion!
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