Cronache giapponesi, parte 3 – Shibuya

In questo post parliamo di Shibuya, quartiere giovane e ultra fashion di Tokyo dove la prima attrazione che incontrerete è la statua del cane Hachikō, di cui menzionerò la storia ma che so tutti conosciamo già poiché abbiamo visto il film strappalacrime con Richard Gere e abbiamo pianto fino a usurare in via definitiva i nostri dotti lacrimali. Hachikō (il cui vero nome è tecnicamente Hachi, kō è un suffisso che se non sbaglio potrebbe essere tradotto con “piccolo”, in senso vezzeggiativo) era un fedelissimo cagnolino di razza Akita che per dieci anni dopo la morte del suo padrone, avvenuta nel 1925, ogni giorno si è recato alla stazione di Shibuya per aspettare il suo ritorno. Il cagnolino è stato premiato per la sua fedeltà verso il suo padrone con questo monumento nella piazza della stazione (molto più piccino di quello che in realtà pensassi), che ho scoperto però solo successivamente essere una copia dell’originale, andato distrutto durante la seconda guerra mondiale. Ma ora asciughiamoci le guance dopo questa commovente storia e andiamo avanti parlando di cose più mondane.

Puffetta a Shibuya. Ah no, sono io
Puffetta a Shibuya. Ah no, sono io

Ecco, se andate a visitare Shibuya di mattina e avete problemi con la colazione tipica giapponese, che è salata e composta da riso, umeboshi (prugne salaticce sottaceto che ho assaggiato pensando fossero dolci e che non augurerei di mangiare neanche al mio peggior nemico), pesce, tofu o zuppa di miso, vi consiglio di andare nello Starbucks* adiacente alla stazione, situato sopra la libreria Tsutaya e dall’alto del quale potrete vedere l’affollatissimo incrocio di Shibuya. Questo incrocio può essere definito con una sola parola: folle. Ha un attraversamento pedonale la cui portata è diecimila volte superiore a tutto il cast di Ben Hur (comparse e crew comprese), il tutto contornato dagli schermi video e dalle luci al neon coloratissimi e chiassosi tipici di Tokyo che ornano i palazzi circostanti.

Umeboshi, lo snack del demonio
Umeboshi, lo snack del demonio

*Nota dell’autrice: non vogliatemene se vi ho consigliato uno Starbucks, in questo caso ciò è stato fatto per la vista veramente bella che quello di Shibuya conferisce. Ci sono molti baretti e catene che offrono una colazione all’occidentale reinterpretandola però con tocchi tipici giapponesi, e anche a me scoccia spendere 15 euro per un caffè-brodaglia e un biscotto, ma a volte la mattina il colosso amato dagli hipster è stato la nostra salvezza. Sebbene infatti siamo riusciti sempre a mangiare cose tipiche a pranzo e a cena e ad evitare le catene occidentali, al mattino non ce l’abbiamo proprio fatta a mangiare pesce e prugne sottaceto.

Già che ci siete, anche la libreria Tsutaya vale la pena di essere visitata, anche perché c’è una sezione molto vasta dedicata alla musica giapponese, di cui potete ascoltare dei sample al piano terra e farvi un’idea di quello che è il J-Pop. Abbiamo scoperto qual è il nostro cantante giapponese preferito: Hero, di cui troneggiavano sui maxi schermi le pubblicità del suo ultimo album. Pensavamo fosse un po’ il Nek giapponese, e invece canta come Toto Cutugno. Adorabile.

photoVeniamo ora alla parte succosa per le fashion victim: il centro commerciale Shibuya 109.

Questo negozio è preso d’assalto dai giovani e dalle giovani giapponesi poiché vende il non plus ultra della moda giovanile, e potrete trovarci un po’ di tutto, dalla bigiotteria, ai vestiti tipicamente leziosi tanto di moda in Giappone, a capi d’abbigliamento normalissimi che potrebbero essere trovati anche in un qualunque negozio del vostro paese. Non tutto però è made in Japan (anzi, un buon 60% è made in altre parti, tendenzialmente Cina), dunque fate attenzione a non spendere un capitale per qualcosa che potreste comprare su Aliexpress ad un millesimo del prezzo.
La cosa più bella di Shibuya 109 sono le commesse: vestite e truccate come bamboline di porcellana, con i capelli boccolosi, le ciglia finte, i vestitini leziosi pieni di pizzi e merletti, anziché parlare miagolano. In giapponese, farle miagolare in inglese è impossibile, rassegnatevi.

Fede dopo avergli descritto la commessa
Fede dopo avergli descritto la commessa

Ovunque andrete le sentirete cantare “Gozaimasuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”, tra mille sorrisi ed inchini, e nonostante il problema linguistico di base faranno di tutto per aiutarvi  con la massima disponibilità e gentilezza (come fanno tutti i giapponesi, del resto). Se siete maschietti poi vi si potrebbe profilare anche uno spettacolo come quello che ho visto io, ovvero una commessa carinissima che, sistemando gli scaffali, piegandosi ha mostrato a tutto il reparto le sue mutandine rosa di merletti, una scena che pensavo fosse un clichè da cartone animato e che invece, a quanto pare, è molto frequente. Quando ho raccontato il tutto a Fede, che era dall’altra parte del negozio, gli è uscito sangue dal naso a fiotti per l’immagine descritta e per il non essere stato lì con me a godersela (“DOVEVI CHIAMARMI, MALEDIZIONE! BUAAAARGH!!!”), altra cosa che mostra come i cartoni animati giapponesi descrivano la realtà.

La sera Shibuya è ancora più bello, coloratissimo per le luci, ancora più affollato e con mille musiche provenienti dalle sale dedicate ai videogiochi o al Pachinko.

Una sera mi è capitato di vedere due ragazze Ganguro (di cui ho parlato in questo post) e un’altra ho visto una meravigliosa Lolita, con i capelli rosa e un delizioso ombrellino di pizzo: oltre all’ammirazione per la scenograficità dei loro outfit, ho provato molta stima pensando a tutte le ore che hanno impiegato per prepararsi.

Se vi state chiedendo cosa ho comprato a Shibuya, la risposta è: NIENTE. Più che altro perché, per quanto possa trovare adorabili i vestitini da damina ottocentesca o dei pantaloncini di pelliccia lilla su una minuta e carinissima ragazza giapponese, su di me sarebbero stati la causa dell’estirpamento oculare volontario di tante, troppe persone. Insomma, sono consapevole che (purtroppo) certe cose non me le posso permettere (sigh).

Ma mi rifarò nel prossimo post parlando degli acquisti fatti ad Akihabara, aka Electric town: il quartiere nerd!

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