Il Binario 21

binario212In questo blog si parla tendenzialmente di argomenti divertenti o comunque pertinenti ad una sfera ludica e all’ intrattenimento, sia essa costituita da film o serie tv che da fumetti o fenomeni di costume o gossip. Oggi però metto da parte l’atteggiamento caciarone per parlarvi di un’esperienza che mi vergogno di aver fatto solamente a ventinove anni (però, come si suol dire, meglio tardi che mai) ma che sono molto felice di aver finalmente realizzato, ovvero l’aver visitato il memoriale della Shoah di Milano, comunemente più noto come “il Binario 21”, nella speranza di invogliare qualcuno con questo post, indipendentemente che sia delle mie parti o si trovi per qualsivoglia ragione a Milano, a visitarlo a sua volta.

20160404_105909Tra università, lavori e spostamenti personali ho visitato un po’ tutte le stazioni milanesi, ma mai mi ero accorta della sua esistenza, questo anche e perché il Binario 21 è situato al di sotto dei binari ferroviari ordinari della stazione Centrale di Milano, in una zona che in origine era adibita allo scarico e al carico dei vagoni postali.

Tuttavia, tra il 1943 e il 1945 il Binario 21, così nascosto alla vista, così invisibile e silenzioso, è stato teatro del trasporto di centinaia di deportati (ebrei, ma anche omosessuali, oppositori politici, handicappati e zingari) che, caricati sui vagoni merci, venivano poi traslati su un elevatore e poi portati al piano superiore, dove si trovavano i binari. Successivamente, dopo essere stati posizionati alla banchina di partenza, venivano agganciati per formare dei convogli che avevano destinazioni come i campi italiani di raccolta, come quelli di Bolzano e Fossoli, e come campi di concentramento e di sterminio come quelli tristemente molto noti di Bergen Belsen e Aushwitz-Birkenau.

Appena si entra nel memoriale ci si imbatte subito in un muro su cui è scritto a caratteri cubitali la parola “indifferenza”, il che è già un pugno nello stomaco pensando che questo concetto ha contribuito moltissimo a far chiudere gli occhi di fronte a ciò che è successo, ma che allo stesso tempo richiama il fatto che oggigiorno l’indifferenza nei confronti di ciò che è stato è una pericolosa pavimentazione rivolta ad una strada che porta al ripetersi degli eventi.

20160404_113245Il percorso ha così inizio, e si apre con un osservatorio dove è proiettato un filmato dell’Istituto Luce, che mostrava all’epoca come funzionava in origine quest’area prima che venisse requisita dagli occupanti nazisti nel settembre del 1943. E’ curioso notare che, sotto la passerella che porta all’osservatorio, si trova un’aiuola piena di pietre: ho scoperto successivamente essere un richiamo non solo ai binari del treno, ma anche ad un’usanza ebraica secondo la quale si posa una pietra in memoria dei defunti.

Si arriva poi all’area binari, in cui si trovano i vagoni merci originari in cui venivano stipati i prigionieri. Questi vagoni erano stati realizzati per il trasporto del bestiame, ma in ognuno di essi venivano messe almeno 80 persone, ammassate le une sulle altre, solo con un po’ di paglia in terra, costrette a fare in un secchio i propri bisogni, con delle griglie minuscole per far passare l’aria e situate troppo in alto e troppo strette per mostrare ciò che c’era al di fuori del vagone.

20160404_114335Con questa consapevolezza, quando sono entrata in uno dei vagoni, totalmente vuoto e buio, ho provato un sentimento molto vicino al panico, cosa che mi ha portato a capire di non poter nemmeno concepire quello che i deportati possono aver passato. Ma penso che proprio per questo, la visita al memoriale sia un’esperienza che VADA fatta, per comprendere l’assurda atrocità di quello che è successo, e soprattutto la consapevolezza che quello che oggi sembra un film dell’orrore è stato in un tempo neanche troppo lontano realtà.

20160404_112201Questa consapevolezza non solo è cresciuta con il “muro dei nomi”, ovvero una parete su cui sono proiettati in bianco i nomi di chi non ha mai fatto ritorno da quei viaggi, e in arancione i nomi dei superstiti (22 persone su 605), e con le lapidi dei convogli, ma anche e soprattutto con le testimonianze dei pochissimi sopravvissuti, proiettate in delle zone apposite.

So di essere polemica, ma mentre stavo guardando il filmato con la testimonianza di Liliana Segre (e piangevo, perché è impossibile non esserne toccati, indipendentemente dalle lacrime) c’era una scolaresca (si parla di ragazzi di 16-17 anni), portata in gita da un’insegnante svogliata, che faceva baccano, andava in giro in modo disordinato, schiamazzava durante le proiezioni, e mi è salita una grande rabbia. Una grande rabbia perché tutto questo è simbolo non solo di un’enorme mancanza di rispetto, ma soprattutto di quello a cui è dovuta: la disinformazione, la mancata voglia di capire e di conoscere, che tranne in alcuni casi non sorge spontaneamente nei ragazzi, ma va coltivata da chi ha il compito di educare questi adolescenti che rappresentano il nostro domani.

Perché l’ignoranza, non solo intesa come mancanza di cultura ma soprattutto come atto dell’ignorare spontaneamente, sappiamo bene che arriva a fare male, a picchiare, a seviziare, a uccidere.

20160404_115426E mi sono arrabbiata con l’insegnante, mi sono arrabbiata con i loro genitori, e anche con loro. Perché la storia non è un gioco, la storia siamo noi. Una delle cose che più mi ha colpito di questo memoriale è la vicinanza che è trasparsa dalle vittime della deportazione a me. A noi. Si parlava di bambini, di madri, di uomini, vecchi, di ragazzi, ma non provenienti da un documentario o da atmosfere alla Schindler’s List. Si parla di persone torturtate prima a San Vittore, nel Carcere di Varese, non solo dai fascisti ma anche dalla polizia e dai carabinieri. Si parla di persone provenienti da Busto Arsizio, da Porto Ceresio, da Como. Constatare che i luoghi dove si passa tutti i giorni sono stati teatro di questo, della sevizia e dell’uccisione non di sterili nomi e cognomi, ma di persone…Colpisce. Tanto. Per questo ho voluto parlarvene.

20160404_112242In conclusione del percorso, si trova uno spazio a sezione tronco-conica a cui si accede da una rampa elicoidale, adibito a luogo di riflessione, in cui ci si può fermare a riflettere, a dedicare una preghiera, o semplicemente a pensare. Sovrasta il soffitto del luogo di riflessione una luce, ovale e diretta, che mi ha ricordato il così detto “occhio di dio” di Guernica, il quadro di Pablo Picasso dipinto per raffigurare il bombardamento subito dalla città in occasione della guerra civile spagnola. L’occhio di dio è il lampadario, che guarda, spalancato e fisso, quello che sta succedendo. Impassibile e freddo. Io ho pensato a questo, a dov’era l’occhio di dio in quei momenti, e se mai c’è un dio che guarda, o che ha volutamente distolto lo sguardo, e continua a farlo ancora oggi.

Questo post è una parentesi, che però in un certo senso mi auguro che non sia insolita: non importa se un video in cui ballo facendo il karaoke o un post sull’ultimo film-trend del momento hanno molto più seguito di un post serio, perché si può alternare la leggerezza alla riflessione senza però cadere nella superficialità.
Se siete di Milano e provincia, o comunque capitate nella città, per favore, andateci. E portate i vostri figli, i vostri nipotini, i vostri amici, perché la coscienza storica non va sbandierata solo nelle giornate apposite, ma coltivata e curata ogni giorno. Non è mai troppo tardi.

Qualcuno di voi è già stato al Binario 21, o ha fatto un’esperienza analoga? Se vi va, parlatene pure nei commenti.

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